LA NOSTRA STORIA

Personaggi e racconti che alimentano la leggenda


E’ l’8 ottobre 1977 quando ventiquattro barche a vela di 6.50 metri di lunghezza lasciano Penzance in Inghilterra e con un solo uomo a bordo fanno rotta verso Antigua via Ténérife per le isole Canarie.

Nasce quel giorno la Minitransat, regata Oceanica per piccole imbarcazioni dalle grandi ambizioni.

Si tratta di una reale “avventura”, ricca di fascino e notevole spettacolarità, ma anche di temibili insidie, come molte edizioni hanno dimostrato e dove il nostro Roberto Varinelli ha purtroppo perso la vita.

Creata nel 1977 dall’inglese Bob Salmon, la Transat 6.50 è la risposta al gigantismo finanziario e ultra tecnologico delle regate transoceaniche.
Si racconta, ma forse è solo leggenda, che per la prima edizione della regata Bob Salmon abbia voluto sottoporre le barche ad un “curioso” test per valutarne la resistenza: una gru sollevava l’imbarcazione fino a quattro metri sul livello del mare, e quindi la lasciava cadere in acqua. Se dopo il salto risultava indenne, poteva affrontare le onde dell’Atlantico…

Per oltre quindici anni i “Mini” parlano quasi esclusivamente francese ma la volontà ed il coraggio di pochi marinai italiani tra i quali Andrea Romanelli, Ernesto Moresino e Ettore Dottori fa nascere e diffondere anche in Italia l’interesse per questo modo di vivere l’oceano.

Nel marzo 1994 viene costituita la Classe Mini 6.50 Italia e da allora la “MiniMania” si diffonde inarrestabile. La Classe, gli skipper i progettisti, l’intero mondo Minitransat italiano cresce e guadagna riconoscimenti stima e fiducia. In pochi anni di duro lavoro i mini vengono prima accettati alle regate di altura nazionali, poi invitati ed oggi sono il raggruppamento di Classe più numeroso che sistematicamente partecipa alle principali regate lunghe nel Mediterraneo.

Il punto di arrivo per tutti gli Skipper di questa Classe e’ la Transat 650. 4500 miglia da percorrere in solitario, dal porto di La Rochelle sulla costa francese a San Salvador de Bahia, Brasile, passando per l’isola di Lanzarote. Un’ottantina di Mini cercano il buco più favorevole per lasciarsi alle spalle l’aliseo di Nord Est ed agguantare i venti di Sud Est all’altro capo dell’Equatore. Dall’edizione 2013 si tornera’ alle origini del percorso, partendo da Douarnenez che va a sostituire La Rochelle sulla costa francese per arrivare dopo uno scalo alle Canarie, nell’isola francese della Guadalupa.

Da quaranta anni il Mini e’ la “Scuola d’Altura” per eccellenza. Un vero e proprio laboratorio galleggiante dove si sperimentano innovative soluzioni tecnologiche a basso costo di realizzazione, che saranno poi in seguito trasferite e messe a frutto sui grandi Open Oceanici.
Una stazza semplice senza eccessivi vincoli, un contenuto costo di costruzione di uno scafo di 6.50 metri, che permette ad architetti e progettisti un ampio margine di manovra, fanno di questa barca un mezzo eccezionale sotto il profilo di prestazioni e sicurezza.

ANNO DOPO ANNO
STEFANO PALTRINIERI RACCONTA



Con queste righe vorrei serbare un ricordo dei nostri connazionali che,
nel corso degli ultimi 40 anni hanno avuto l’ardire di affrontare la MiniTransat.

Mi affiderò alla mia memoria, pertanto mi scuso per le eventuali inesattezze e dimenticanze,
ringraziando chi vorrà farmele rilevare.

ANNO 1981
Nel 1981 parte e arriva decimo Antonio Solero. Il bassanese si era reso protagonista l’anno prima di una Transatlantica a bordo di un 6 m autocostruito.
Secondo una pratica frequente all’epoca taglia un Mini ton, un Fortunello di Sciommachen, barca da triangolo costiero, e forte dell’esperienza dell’anno prima strappa l’ottimo piazzamento.
Per dare un’idea del gap coi francesi, il vincitore di quell’edizione, Ginette di Chiorrì, si permette tuttora di piazzarsi ben dentro la prima metà del gruppo attuale di regatanti.
Nella stessa edizione partì Gianni Rizzieri su uno Sciuscià, ritirandosi al terzo giorno. Ricordo che all’epoca mi affacciavo all’altura su una barca simile e, ovviamente, la sua partecipazione mi indusse ai primi sogni.
ANNO 1983
Rizzieri per l’83 tagliò un potente sesta classe di Maletto-Navone, contro il quale facemmo match race per tutta una 500×2, io su Dixie Plus, Janneau di 8m.

Purtroppo impegni di lavoro gli impedirono di partire, lasciando al palo uno skipper ed un mezzo veramente competitivi ,per gli standard dell’epoca. Partì invece Antonio Cirino, che terminò tristemente la sua avventura su un elicottero a Finisterre.

Nel corso della sua conferenza ,al ritorno, ricordo che pensai che se quella cosa gli era accaduta qualche colpa doveva ben averla e che a me non sarebbe mai successo… meditate gente… meditate!
ANNO 1985
L’85 vede il grande Alex Carozzo, skipper da giri del mondo, cimentarsi coi giocattoli.

Rompe i timoni ed arriva appena prima della partenza della seconda tappa a cui non partecipa.

Allora non c’erano ancora le balise ed ogni ritardo induceva veramente a pensare al peggio.
ANNO 1989
L’89 vede alla partenza quello che sarà un animatore della Classe il decennio successivo: Ettore Dottori, concorrente in doppio con un bretone.

I 2 disalberano.
Ettore con la consueta bravura arma un albero di 8 mt. e con quello arrivano, non senza aver prima rischiato di finire sulla barriera corallina,che attraversarono miracolosamente indenni, prima di ancorare, riposarsi e ripartire per le ultime miglia .
ANNO 1991
Nel 91 Camillo Calamai, titolare della TAU, su di un Cocò, compie una traversata encomiabile.

Non punta al risultato, si trova spesso ingaggiato col Cocò del paraplegico Josè Consalves.

Un eroe ma con umiltà e semplicità ottiene il massimo per un dilettante: arriva dall’altra parte!
ANNO 1993
Col 93 i ministi italiani entrano nell’era moderna per 3 motivi:
Felci-Zancopè: i 2 passano il 92 nei bar dei porti bretoni con Finot, Lucas Berret ecc… per capire come funzionano veramente i mini.
Il risultato è quel prodigio del TE SALT, il primo proto italiano che si cimenta in corse bretoni con grandi risultati.

Ernesto Moresino: il genovese si appassiona a tal punto dei mini da inventare, fondare e reggere per 4 furenti anni la Classe Mini Italia, facendola riconoscere ai francesi e creando un volano poderoso per tutta l’attività degli anni seguenti.

Il Te Salt in serie: derivazione in resina dalla bomba di Zancopè, consentirà a numerosi skipper poco vogliosi di cimentarsi in auto costruzioni l’ approccio facilitato ai mini ed alla Transat. Fondamentale!

Quell’edizione,drammatica, vede il fantastico settimo posto, tuttora record imbattuto, dell’indimenticabile e indimenticato Andrea Romanelli sull’American Express che vinse con Norton Smith nel 79.

Zancopè battagliò fino a più di metà gara con nientemeno che Tierry Dubois, e fu vinto solo dal cedimento dei timoni.
Moresino, perse il Cocò in Biscaglia e Luca Avitabile terminò la sua fatica a Lorient.
ANNO 1995
Il 95 vede i Te Salt come protagonisti.
Dottori corre la sua Mini più regolare e stacca un ottimo 13esimo posto, 2 piazze davanti al caorlino Felice Gusso.

Moresino, penalizzato dalla rottura del boma, arriva 20 esimo e Cesare Bressan, in debito con pilota e generatore, strappa un 32 esimo,quasi tutto al timone.

Il grande Simone Bianchetti, sul Vismara Kidogo, ad un deludente 28° della prima tappa fa seguire un fantastico quinto nella seconda, frutto di un’ottima rotta sud e della sua tradizionale forza di reazione sovrumana… (finì senza pilota) con decimo posto finale.
ANNO 1997
Il 97 rappresenta l’innarrivato apice per la Classe Italiana: purtroppo mai più si vedranno così tanti concorrenti, ben 8, e così ben piazzati. E’ l’anno del progetto di Romanelli-Malingri Mini Match.
Massimo Giacomozzi, velista pacato, serio, frutto del prolifico vivaio romagnolo, dopo un’incertezza iniziale dovuta alla rottura del bompressino, ingrana un ritmo da metronomo, rimonta mini su mini fino ad un fantastico settimo posto finale, che eguaglia Romanelli.

Claudio Gardossi, con Zancopè, mi è sempre sembrato il più “bretone” degli italiani. Privo di solido retroterra agonistico velico, con l’aiuto del fido Marino Suban, manico triestino, e con tanta disciplina e professionalità in 2 anni brucia le tappe.
Nel 96 sul Rolland autocostruito Jasmine vince Corsica, Roma e 500 inanellando 2 circumnavigazioni dell’Italia.
Nel 97 è terzo al Fastnet e Transgascogne, meritandosi la copertina di “BATEAUX”. Alla Mini,dopo una seconda tappa un pò in salita per il vento leggero ed una rotta un pò troppo a nord,finisce comunque decimo.

Massimo Rufini, incarna il “genio” laziale. La sua preparazione appare, dalla banchina sommaria. Ricordo di essere andato a comprargli la miscela per il generatore a Brest,quando mancava appena un’ora alla partenza perché se n’era scordato.
Effettua la calibrazione del pilota nel pre start! Per di più rompe il boma in una stramba involontaria, riparandolo però con prontezza ed ingegno. Nella prima tappa più che 30 esimo non si merita. Nella seconda,ormai rodato dispiega invece la sua classe di uccello d’alto mare e porta il suo Te Salt ad un fantastico 12° posto, con 18esimo finale.

Andrea Gancia è il pulcino del marinaio che da lì a qualche anno diventerà protagonista assoluto, da terzo alla Ostar e da record Atlantico in cat. Su Te Salt infila una Transat regolare, senza acuti e senza cadute con 24° posto finale.

Ettore Dottori si presenta su Mini Match. Il giorno prima della partenza si frattura un metatarso saltando in banchina. Irriducibile com’è fugge dall’ospedale e parte per la sua terza Mini, ovviamente sulla difensiva.
Nella seconda tappa cede una diagonale bassa ed il romano fa rotta verso capo verde per ritirarsi. Dopo poche ore, orgoglioso, combattivo ed irriducibile, organizza la solita miracolosa riparazione, rimette in rotta di nuovo verso ovest e si produce in un gran finale di gara con un incredibile 25 esimo posto.

Paolo Tinari è la dimostrazione che, con un pò di fortuna, chiunque può finire la Transat. Mezz’ora dalla sortita dal porto la sua randa, issata a mezz’albero non sale e non scende più, sotto i miei occhi esterrefatti si accorge che i golfari sul balestrone sono girati di 45 gradi rispetto all’asse dei venti e dell’alabasso, l’interno della barca è un casino inestricabile… La partenza col vento in poppa leggero lo grazia ed il simpaticissimo Paolo ha il tempo di riorganizzarsi, coronando il suo sogno 34 esimo.

Il 97 rappresentò anche una triste incompiuta per due fortissimi protagonisti italiani. Stefano Pelizza, su Mini Match compì una prima tappa d’antologia, lottando alla pari coi fenomeni di allora (Magnen in testa) arrivando alle Canarie in un incredibile e mai più ripetuto quarto posto. Purtroppo dopo un solo giorno della seconda tappa subì una grave avaria all’albero, tale da costringerlo al ritiro.

Andrea Scarpa, su barca gemella e compagno di Stefano in tanta regate in doppio, resse il passo dell’amico finendo settimo nella prima tappa per incocciare un ferry durante la seconda notte, sulla rotta dei Carabi.

Ernesto Moresino, col progettista Felci, compì l’ardita operazione di costruire in carbonio un Te Salt. La barca ne risultò molto nervosa, di difficile gestione in solitario, tanto da indurre Ernesto già molto deluso dal 29 esimo posto di tappa, a rinunciare a proseguire.
ANNO 1999
Il 99,presentò ,rispetto all’edizione precedente,condizioni assai più severe per l’avvicinarsi al Golfo di Biscaglia di una depressione tropicale, sottovalutata dagli organizzatori. Fu una edizione in cui si ritirarono con danni alcuni dei protagonisti della grande altura degli anni 2000,come Sebastian Josse, Karen Leibovici e Nick Maloney.

Nel ’96/’97 c’era un omone di 130 chili che non si perdeva la partenza e l’arrivo di una regata Mini italiana, arrivando in moto ovunque ci fosse un Mini in gara.
Diceva che si stava costruendo un Mini per prendere parte alla prossima edizione e, francamente, non era facile credergli.

Nel 1998 varò il suo Rolland Exing 99 partecipando alle prime regate: non era raro che sul più bello di issare spi lo si vedesse correre a prua con trapano e ferri per qualche riparazione volante e, durante le gare di qualifica a Port Camargue si incagliò ben 2 volte.

Nel ’99 cadde dalla barca sull’invaso, infortunandosi, si allenò pochissimo correndo, al risparmio la sola Corsica. Ebbene,malgrado tutte queste sinistre premesse e per di più penalizzato dalla via d’acqua seguita ad una collisione col mio 126 nel pre-start, ROBERTO VARINELLI fu il solo italiano, sui 6 più titolati partenti ad ultimare un’edizione da annali al 19 posto!

Andrea Gancia al via col te salt in carbonio che fu di Moresino, subì un’avaria alle volanti,così da ritirarsi a La Rochelle.

Dottori arrivò alla partenza con una barca tutta da attrezzare. Neppure il suo stellone ed il lavoro indefesso di uno staff numeroso e competente valsero a porlo in condizioni decenti: dopo 2 giorni l’acqua filtrava dai bulloni della chiglia e tutto finì con l’inevitabile ritiro.

I fratelli Pelizza, Stefano, al secondo tentativo, e Francesco su barche gemelle, unitamente al sottoscritto, Stefano Paltrinieri,stavano facendo gara di testa, tra il quarto ed il settimo posto, a poche miglia l’uno dall’altro,quando Mercoledì 29 Settembre fecero “la capriola” …Stefano Pelizza rimase 4 ore all’interno della barca rovesciata. Complice un’onda amica si raddrizzò e con armo di fortuna riparò a San Sebastian.
Il fratello e Paltrinieri furono recuperati dallo stesso elicottero a 5 ore di distanza.
ANNO 2000/2005
Con gli anni 2000 entriamo nella storie recente.

Credo che tutti gli appassionati conoscano le vicende della dolorosa scomparsa di Roberto Varinelli nel 2001, dell’ottimo ottavo posto di Enrico Podestà nel 2003, compagno di uno sfortunato Alessandro Zamagna, comunque arrivato fino al traguardo, nel 2003.

Il 2005 ci offre infine il decimo di Andrea Caracci che sarà anche protagonista nel 2007.

Il mio augurio è che, tra qualche anno, mi debba nuovamente cimentare nella descrizione di partecipazioni Italiane numerose come nei mitici, inarrivabili anni '90.
ANNO 2007
Quell’anno fu un cardine nella storia della Classe italiana: la Classe francese ci mise con le spalle al muro proibendo di prendere parte alle regate organizzate per altre classi (del tipo Corsica x 2 e Roma x 2) ed imponendo l’organizzazione di regate per soli Mini quale condizione per potere continuare ad esistere come Classe autonoma.

L’allora Presidente Gianluca Pantuso riuscì, con un colpo da maestro, ad intrecciare proficui rapporti con lo YCI e nacque il GPI, tutt’ora la stella polare dell’attività nazionale e, oserei dire, Mediterranea.
Sarebbe stata la svolta, unitamente all’altra sua intuizione della prima regata in solitario italiana nell’anno successivo, la SMS, di cui godiamo ancora oggi i benefici.

Purtroppo per quell’anno tanto ben di Dio giunse troppo tardi e furono solo tre gli atleti che riuscirono a partire da La Rochelle in Autunno, Andrea Caracci ci aveva fatto sognare due anni prima,quando condusse il suo Manuard 431 a lungo al primo posto della seconda tappa, prima di scivolare pian piano ad un sempre onorevolissimo decimo posto, penalizzato da una scelta troppo meridionale.

Il milanese era stato il primo a portare in Italia tecniche avanzate di allenamento, come la partecipazione a prolungati trekking invernali in condizioni disagevoli per studiare i corretti tempi di recupero e la giusta alimentazione. Forte dell’esperienza di due anni prima partì senza timori riverenziali e con enormi ambizioni di Classifica. Purtroppo una grave avaria all’albero lo obbligò al ritiro a Mindello.

Maurizio Vettorato, istruttore di sci alpinismo, dopo un 2006 dedicato all’accumulo di miglia ed alla presa in mano del suo Tip Top di serie, iniziò un 2007 col botto, dimostrando eccelse capacità mediatiche nell’invitare a bordo nella prima edizione del GPI nientemeno che Giovanni Soldini. Fu tra i pochissimi che in quell’anno fatidico osarono allineare alla MT anche la Tre Continenti.

Si trattò a mio giudizio di una delle regate più affascinanti in assoluto tra tutte quelle organizzate per i Mini anche se si rivelò di una logistica costosa e, a tratti, impossibile. Da Marsiglia il percorso si dipanava fino ad Alessandria d’Egitto,con tappe a Malta ed a Creta e si corse con Mistral e Meltemi che fecero a staffetta per imprimere alla piccola flotta (mi pare un dozzina di barche) medie che neppure in Atlantico. Ricordo che Maurizio mi raccontò che dovettero costruirsi da soli gli invasi di legno per caricare le barche per il costosissimo viaggio di ritorno. Forte di questa monumentale esperienza il bolzanino partì con qualche velleità di classifica.

Purtroppo all’alba della prima tappa un’onda irruppe a bordo, pregiudicandogli gravemente l’elettronica ed obbligandolo ad una lunga sosta nel tradizionale stand oceanico di Mindello. Terminò comunque in un’apprezzabile 35 esima posizione.

Andrea Pendibene mi telefonò nel novembre del 2004 chiedendomi se poteva uscire una volta con me sul Garda. L’uscita con tempo grigio, pochissimo vento ed il mio Naus di allora che non ne voleva sapere di partire nelle brezzoline non fu il massimo ed immaginate il mio stupore quando la settimana dopo si offrì di venire ancora in treno da Viareggio per reiterare l’esperienza!

Una volta là sfoderò un quaderno su cui aveva disegnato con maestria una quantità incredibile di progetti di Mini 650 e tirammo le due di notte sognandoci sopra.
Perbacco pensai ,qui c’è della stoffa e della passione chissà… Ed infatti qualche mese dopo Andrea , spalleggiato dall’indimenticabile papà Roberto, suo mentore, primo sponsor e preparatore comprò un Naus (e qui ebbi qualcosa da ridire) e per i due anni a seguire facemmo a sportellate per il Med sulle nostre barche gemelle.

Credo che quella di portare a termine la MiniTransat a soli 24 anni su di una barca come quella abbia costituito già di per se un’impresa, considerando che si attraversava il POT au Noir e che fosse difficile immaginare qualcosa di più difficile che farlo su di una barca marina ma sorda alle accelerazioni come il Naus. Il bocia compì un attraversata pulitissima ed arrivò senza guai maggiori a Bahia in 41 esima posizione.
ANNO 2009
A mio avviso quella del 2009, non me ne vorranno i partecipanti alle altre edizioni della MT, è stata quella in cui gli italiani, pur numerosi si sono presentati con una forza d’urto collettiva rimasta ancora ineguagliata.
L’innalzamento culturale specifico indotto dalla partecipazione al GPI ed alla Sanremo MiniSolo, unitamente alle prime partecipazioni ai centri di allenamenti bretoni produssero un effetto virtuoso.

Giancarlo Pedote disegnò una parabola biennale perfetta che sancì uno splendido quarto posto finale. Partito dalle regate italiane, il toscano si allungò gradualmente a quelle spagnole per concludere poi tutta la stagione della MT correndo nella Francia atlantica.

Tutti i concorrenti che concludono una MT nei primi posti sono destinati a fare carriera nell’offshore, ma quell’anno fu particolarmente prolifico se consideriamo che tra quelli con cui Giancarlo dovette misurarsi ricordiamo anche Xavier Macarena tutt’oggi uno dei più forti praticanti di Figarò in attività, anche e soprattutto col nuovo Figarò 3 e Charlie Dalin, col quale il nostro vivrà l’immensa soddisfazione di partecipare alla Vendee Globe tra pochi mesi.

Dopo il bel piazzamento Pedote passò per qualche anno ai Figarò per poi tornare alla grandissima sui mini…ma ne scriveremo! Riccardo Apolloni è, a mio avviso, dotato del tasso naturale di classe più alto anche al cospetto dei più forti della storia della Classe italiana. Iniziò con l’autocostruzione in legno del proto Mavie col quale prese parte con la moglie Patrizia alla Tre Continenti di cui sopra. Ricordo che, per qualificarsi alla regata ed alla MT infilò nello stretto lasso di tempo tra due regate francesi in Camargue, la Qualifica di 1000 miglia…SENZA PILOTA!

Dall’Egitto come pensate che sia tornato a Napoli? Via mare naturalmente su di una tratta infinita e quasi tutta di bolina. Accortosi del deficit di prospettive agonistiche su quel mezzo, ai primi del 2008 cambiò cavallo, portando dall’Olanda un P2, via Manica(brrr)e con quello mise le carte in tavolo arrivando sesto nella durissima SAS di quell’anno.

Riccardo era così forte che si poteva permettere di trascorrere tutto l’inverno in Giappone dove lavorava Patrizia, senza allenarsi, tornare pochi giorni prima dell’inizio della stagione atlantica ed arrivare d’acchito secondo alla Select 30 secondi dietro un Macaire che si massacrava di miglia da mesi. Purtroppo è stato la dimostrazione vivente che anche i grandissimi possono sbagliare: mentre duellava con Dalin e Lobato per la vittoria della seconda tappa un maledetto colpo di sonno lo fece spiaggiare a trenta miglia dall’arrivo.

Luca Del Zozzo: roccioso romagnolo proveniente dal rugby ha aperto un’era in quanto è stato il primo italiano ad avere l’intuizione di iscriversi ad un centro di allenamento in Atlantico. Dopo una prima stagione in P2 già lusinghiera, nell’autunno del 2008 trasferì la barca a Pornichet per evolvere sotto il pesante trattamento del Coach Charles Euvertes.

I frutti non tardarono ad arrivare dato che Luca si accorse di non sfigurare affatto anche al cospetto dei ministi atlantici, tradizionalmente più numerosi ed allenati di quelli mediterranei. Alla MT stazionò a lungo tra i primi 10 e solo qualche noia di troppo all’attrezzatura gli impedì un Top Ten, che comunque sfiorò con un bel 14 esimo posto finale. Luca Tosi all’inizio si sarebbe accontentato di essere il più giovane italiano a terminare la MT, forte dei 22 anni che avrebbe avuto all’arrivo.

Concatenò invece una preparazione alla regata tale da arrivare 18 esimo pur penalizzato per centinaia di miglia dalla mancanza dello spi grande, andato in brandelli troppo presto. Quello che fece Luca l’anno prima della regata penso che non sarà più possibile ripeterlo.

Debuttò al GPI, si stabilizzò alla SMS, e fin qui tutto normale…poi infilò la Marsiglia Algeri e, tutto d’un fiato, l’incredibile e, forse per fortuna, mai più riproposta Marsiglia Lisbona, via Marocco (scusate ma non ricordo il porto di tappa). Ricordo che il co skipper della partenza sbarcò di forza in Marocco per non dover subire la risalita controvento dell’aliseo portoghese in Mini… Il tutto fu condito da un ritorno in solitario fino a Venezia, con una diversione alle Baleari, per rispondere ai dettami di un percorso di 1000 miglia di qualifica certificato, come richiesto dalla Classe. Che dire di più?

Daniela Klein entrò in punta di piedi e con tanta umiltà nell’ambiente mini. La ricordo alla SMS del 2008, alle prime armi, in difficoltà a mettere la prua del suo P2 davanti a quella del mio Naus. In autunno la trasformazione: rispose ad un invito di Del Zozzo di recarsi a Pornichet ne fu conquistata e decise di portarvi la barca e di sobbarcarsi i faticosi trasferimenti mensili ed i maltrattamenti di Charles. La cura sortì l’effetto voluto e quella del 2009 è una Daniela Klein che, già temprata di suo dalla pratica dello sci alpinismo, affina le sue doti tecniche al punto di classificarsi 22 esima in una MT dal parterre particolarmente ostico.

Le foto scattate dalla barca appoggio di una Daniela determinatissima che si arrampica in testa d’albero, su di un mare assolutamente non calmo, sono tra le più impressionanti che abbia mai visto sulla MT. Il peggio fu che Daniela mi confidò di avere dimenticato in pozzetto un attrezzo fondamentale e che dovette ripetere l’operazione due volte!
è stata la prima donna italiana a concepire ed a portare a termine l’operazione MT e meglio non le sarebbe potuto riuscire. Andrea Rossi in verità ha passaporto svizzero ma come considerare straniero un ticinese che ha diviso con noi sudore sangue e lacrime indispensabili a concludere una campagna Mini?

Gli armatori citati finora armavano tutti dei P2, lui nel 2006 acquistò un Ginto e con quello iniziò ben per tempo, con precisione ed ordine, quelli sì, svizzeri, un avvicinamento progressivo alla MT 2009. Lo ricordo giovanissimo (25 anni) alla Mini Solo del 2007 a PT Camargue, quando si fece sorprender da 40 nodi di Mistral senza avere mai provato la TMT che, tanto, sul suo lago di Lugano era inutile! Lo stesso anno compì le 1000 miglia di qualifica (due anni prima della regata principe: da copiare!) proponendo un giro che doppiava perfino Ustica, salvo accorgersi in corso d’opera di avere calcolato male le miglia, eccedendo di ben 200 dalle 1000 d’obbligo ed incappando in una commissione francese tetragona ad una eventuale riduzione.

Dovette sciropparsele tutte, tormentato per 14 giorni da una tenace entrata d’acqua dalla trappa poppiera.La via Crucis lo formò per benino e nel 2009 Andrea, rimbalzato con barca al seguito sul carrello per tre anni come una pallina da ping pong dal Ceresio al mare, giunse ben preparato alla MT. La portò a termine 41esimo, in modo assolutamente dignitoso per un super dilettante che si occupava di persona, per risparmiare, di ogni aspetto della preparazione tecnica della barca. Andrea Caracci se le cose fossero andate come lui e la logica prevedevano avremmo scritto di lui per primo. Scottato dall’esperienza di due anni prima il milanese mise in campo un nuovo progetto di Manuard,756, e lo preparò con la consueta pignoleria e professionalità, maturando, legittimamente, ambizioni di podio, se non altro!

Purtroppo arrivò forse un po’ lungo nella preparazione, partì con la barca non al 1000 per cento come avrebbe dovuto essere e d’acchito dopo la partenza dovette modulare problemi al balestrone che nessuno degli agguerritissimi avversari era disposto a perdonargli. Proseguì la prima tappa accumulando altro distacco per problemi alla timoneria ed anche la seconda tappa lo mise in difficoltà per scelte tattiche che si rivelarono non ottimali, come già due anni prima.

Ricordo però la sua ultima settimana di corsa quando, partito da una posizione intorno al 25esimo ingranò finalmente la marcia di cui era capace e si rese protagonista di una rimonta furente, passando in mezzo al gruppo come fossero birilli, fino ad un top ten finale di tappa che lasciò l’amaro in bocca pensando al potenziale che era stato sprecato. Si seppe poi che aveva per di più corso gli ultimi giorni mutilato da una grave ferita ad un occhio, a causa di una volante durante una manovra: un rimpianto continuo!

Gaetano Mura partì ben alla lontana nell’organizzazione del suo progetto. Già nel 2005 il suo Prototipo 437 Pago, sistership del 342 di Alessandro Zamagna del 2003, compì il periplo della Sardegna in circa 4 giorni e fin dalle prime regate del 2006 capii di avere di fronte uno skipper di mestiere, ben organizzato, capace di procurarsi le risorse necessarie ad una campagna non sontuosa ma priva di ristrettezze, e questo grazie ad indubbie capacità mediatiche che metterà in evidenza anche nella sua carriera dopo-Mini.

Gaetano preferì svolgere la sua attività in Mediterraneo, come del resto era d’uso allora, anche lui coprì le 1000 miglia di qualifica nel 2007, partendo da PT Camargue contemporaneamente a Rossi, continuando a migliorare la barca con un lavoro incessante, da vero perfezionista. L’unico momento difficile fu quando, nel corso del GPI del 2009, gara fondamentale per maturare il diritto a partire a Settembre, il coskipper lo abbandonò chiede di sbarcare al girare della Caletta, proprio nella sua Sardegna.
Gaetano dovette prendere il via precipitosamente nella seguente SMS che non aveva in programma e tutto, fortunatamente, si risolse. Arrivò perfettamente preparato a la Rochelle e ricordo che il suo proto era quello su cui fervevano meno lavori, anzi, nessuno del tutto, tra le barche iscritte i giorni della vigilia. A parte un problema alla canaletta dell’albero che lo obbligò a correre per parecchio tempo con una mano alla randa, svolse una MT assolutamente serena, arrivando 26esimo tra i proti, che allora correvano a dozzine.

Simone Gesi fu veramente sfortunato: erano due anni che apprezzavo le classifiche del Tip Top di questo allenatore di vela toscano in tutte le regate a cui aveva partecipato e la vigilia della partenza mi trovavo con altre cinque persone sulla prua del suo mini per tentare di sollevargli la poppa! Era successo che la guarnizione della trappa poppiera aveva dato segni di cedimento, l’acqua era filtrata copiosa inondando la poppa della barca e, malgrado il sollecito intervento di Simone e del suo staff, era probabile che avesse creato danni all’elettronica.
Colmo di sventura fu che il pilota di rispetto si trovasse sul pulmino di Vettorato, andato inopinatamente a fuoco, colpito come fu, in un parcheggio affacciato sul porto, dall’albero infuocato di un mega yacht andato in fumo per cause sconosciute!
Simone decise di partire lo stesso, correndo il rischio ed infatti…dopo poche miglia il sale chiese dazio al suo pilota. Iniziò un’epopea che vide Gesi condurre TUTTA la prima tappa senza pilota, con un tracking che faceva spavento a vederlo, per quanto era contorto e poco lineare.
Arrivò esausto poche ore prima dei tempi limite, tentò di riparare nel pochissimo tempo rimasto ma fu costretto a gettare la spugna appena partito nella seconda tappa per il ripresentarsi del problema.
Per fortuna il suo fu solo un arrivederci…
ANNO 2011
Il passaggio da un’edizione con cinque italiani nel primi 22 a quella con sei ritiri su otto partenti fu assai brusco!

Sfortuna,un parco barche forse non del tutto all’altezza del blocco dei P2 di due anni prima,qualche peccatuccio d’impreparazione…fatto sta che il risultato della MT del 2011 pesò non poco per alcuni anni sui rapporti con la Classe francese,che da allora,e questo fino all’altro ieri,pretese di avere voce in capitolo nella valutazione degli skipper italiani pretendenti alla MT.

Susy Beyer
di professione era skipper di una barca d’epoca ed incantava sentirla raccontare di come faceva armare ad altezze incomprensibili per un minista,con pennoni lunghissimi, velature dai nomi esotici. Si rivelò subito rocciosissima e ricordo una regata in solitario di circa 500 miglia del 2010, il Grand 8,che concluse rimanendo inchiavardata al timone per tutte le ultime 150 miglia,corse senza elettronica ed impossibilitata dallo spi grande che si ostinava a tenere a riva pur nel ventone a prendere qualcosa da bere e mangiare in cabina.

Non aveva neppure un GPS portatile a tiro di mano e comunque inseguì il gruppo dei primi fin sulla linea,cadendo poi esausta al primo tiro di cima in banchina!

Non fu una MT facile-il gruppo incappò in una grossa depressione subito dopo Capo Verde e Susy,purtroppo,soffrì ancora di un drammatici problemi di pilota. Per fortuna l’aliseo di SE le consentì un pò di riposo relativo ,in bolina larga,prima dello sprint finale,che comunque avvenne sotto groppi violentissimi.

La ricordiamo sbarcare vestita della TPS,immagine veramente più che rara in una regata come la MT! Col suo ottimo 22esimo posto ricalcava alla lettera il piazzamento di Daniela di due anni prima.

Simone Gesi
Il toscano con la MT aveva un conto da saldare e si presentò al via preparatissimo e motivato. Sapendo che non si sarebbe potuto offrire una terza chance ammise di avere staccato il piede dall’accelleratore più di una volta e ,considerata la quantità di avarie che funestarono quella edizione,fece benissimo!
Nel colpo di vento a Capo Verde temette di perdere la barca al punto da preparare i documenti personali in una sacca stagna, in caso di abbandono.
Arrivò 26esimo,soddisfattissimo di avere coronato il sogno inseguito per 4 anni.

Andrea Pendibene
Dopo la bella performance del 2007 Andrea cambiò ,e non esagero nello scriverlo, vita,arruolandosi nella Marina Militare e procurandosi un mezzo più performante. Acquistò il Ginto 520 e con quello iniziò un percorso di crescita niente affatto banale.
Nel 2009 fu il primo italiano a farsi seguire da un trainer francese che lo seguiva negli allenamenti in mare e gareggiava con lui. L’anno dopo si accostò al centro di allenamento di La Grand Motte,sotto la guida di allenatori illustri ,che corsero con lui alcune regate .

Nicolas Berenger,
figarista da primi 10 alla Solitaire e Guillaume Rottee li abbiamo visti anche al GPI ed in Spagna si associò addiritura a Paul Meilhat,
futuro vincitore della Rhum in Imoca!

Con tanti maestri era impossibile non crescere parecchio ed Andrea arricchì il suo curriculum con parecchi piazzamenti e vittorie,tra cui ricordiamo il Grand 8 in cui corse Susy.

Purtroppo la MT non si svolse come dovuto:solo poche decine di miglia ed assistemmo esterefatti alla sua rotta sul tracking che puntava verso il porto di partenza,per noie tecniche ,mi pare di natura elettronica.
Ma non sarebbe finita qui…

Sergio Frattaruolo
La classifica ufficiale della regata da Sergio come DNF ma in effetti il bolognese arrivò coi propri mezzi a Bahia,solo che lo fece fuori tempo massimo.
Anche lui, come Pendibene e Sabbatini, portò il suo Dingo 2 769 al CEM di La Grand Motte per calibrare sui mini le sue notevoli qualità nautiche ,già temprate da anni di regate e trasferimenti su barche di maggiori dimensioni e che avranno uno sbocco logico nella partecipazione ad alcune tappe del Giro del Mondo sul 40 piedi di Marco Nannini,oltre che nell’apertura di un’attività di docenza in navigazione oceanica in Portogallo.
Il budget di Sergio non era sontuoso,dovette arrangiarsi lavorando sulla barca da solo ,fino all’ultimo ,senza preparatore. Nella seconda tappa ,come tantissimi in quell’edizione,incappò ,mi pare,di ricordare ,in un’avaria grave alla timoneria.
Arrestatosi nel classico stand di Mindello ,a Capo verde,dimostrò una tenacia senza pari e ,cannibalizzando le barche di concorrenti arrivatì là prima di lui ma che avevano gettato già la spugna,battendosi come un leone, riuscì a ripartire,malgrado il parere sfavorevole del Comitato di regata. Chiuse il percorso a Bahia anche se ,come detto prima ,fuori classifica ma credo che la sua soddisfazione sia stata appena di poco inferiore a quella degli altri classificati.

Giacomo Sabbatini
rischiava veramente di battere il record di Tosi in meritò all’età del più giovane finisher. Arrivato sul suo Ginto nel 2010,a 20 anni esatti ,dopo una brillante carriera internazionale in Laser,decise di trasferire anche lui la barca in Camargue,per macinare miglia sotto la sferza degli istruttori di cui sopra e del Mistral. Nel 2011 dimostrò di avere compreso appieno le regole del gioco in altura e vinse scratch la Sanremo Mini Solo,davanti a tutti i proto ,compreso quello dei Caracci.
Nella prima tappa della MT fu penalizzato da una scelta estremamente occidentale del campo di regata ma entrò del tutto in sintonia col nuovo sport che stava praticando. Nella seconda partì attaccando fino a quando ,ed accadde a molti,l’urto con un oggetto non identificato non gli divelse quasi lo specchio di poppa,obbligandolo al ritiro alle Canarie.

Maurizio Gallo,
il decano della compagnia coi suoi 58 anni era arrivato ai Mini dopo una vita trascorsa come Guida alpina di altissimo livello sui monti Himalayani. Se ricordo bene era stato il responsabile della logistica in alta quota nella costruzione della Piramide sul K2 e si era distinto in arditissime operazioni di salvataggio in condizioni estreme.
Da buon montanaro non ti intontiva di ciacole, teneva sempre un profilo basso ma molto ,molto concreto ed il nome che diede al suo Twister, Yak,faceva chiaramente intendere qual’era il suo retroterra culturale
Il suo avvicinamento alla MT partì da molto lontano e mi pare che le sue prime regate datassero addiritura il 2006. Pian piano,con gradualità regata dopo regata,fino al Minifastnet del 2009,Maurizio maturò la consapevolezza di potere affrontare una regata atlantica en solo
Di sicuro lui pronto lo era, purtroppo fu la barca a cedere. Le dure condizioni ebbero pian piano il sopravvento sul Twister che ,apparato dopo apparato,cedette fino a rendere la navigazione di Maurizio penosa e priva di recupero fisico.
Lui comunque ebbe la soddisfazione enorme di concludere l’attraversata atlantica anche se dovette accontentarsi di Recife,circa 300 miglia a nord di Bahia

Tiziano Rossetti
Anche lui Navigava su di un Twister ed anche lui,come Maurizio, era di provenienza adriatica, dato che teneva la barca di stanza nientemeno che a Venezia. Mi pare di ricordare che la sua Qualifica in solitario la coprì sulla tratta di ritorno a casa dopo la canonica stagione di regate qualificative in Tirreno. La partecipazione di Tiziano alla MT non fu un colpo di testa ed ebbe la cura di costruirsi un’esperienza specifica attraverso almeno tre-quattro anni di regate preparatorie.
Marinaio professionista, di quelli che sanno mettere in proprio le mani sul mezzo che hanno a disposizione, arrivò alla partenza col Twister tirato a lucido, consapevole di avere un mezzo globalmente inferiore alla massa critica di P2 e di proto con cui doveva cimentarsi( in effetti il Twister gareggiava in cat Proto non essendo stato costruito in 10 esemplari)ma deciso a vendere cara la pelle.
La prima tappa lo lasciò assolutamente soddisfatto essendo riuscito a lasciare a poppa circa un terzo della flotta,cosa niente affatto scontata .
Nella seconda tratta il diavolo ci mise lo zampino e Rossetti disalberò. Nella lotta che dovette fare per costruire un armo di fortuna e riprendere una rotta decente per le Canarie, prima che arrivassero i soccorritori a fargli abbandonale la barca, dimostrò un’altro grado di forza d’animo e professionalità.

Andrea Caracci
Forse Andrea in quell’occasione peccò di perfezionismo. Deciso a rifarsi al meglio dalla debacle parziale di due anni prima decise di dare una svolta al suo approccio alla MT: si procurò dei preparatori stipendiati per avere più tempo per allenarsi,e questa fu un’ottima scelta, decise di cambiare albero, progettandone uno più sofisticato e forse questa non lo fu altrettanto.
Per tutta la stagione ebbe problemi col nuovo armo e ricordo ancora il gesto zigzagante che mi fece Tommy Stella con la mano quando si ritirarono nel prologo della Transgascogne dopo di me (io collisi) per indicarmi l’andamento del profilo che aveva assunto l’albero, e si sarebbe partiti la mattina dopo!
ANNO 2013
Se, alla fin fine, le MiniTransat, vissute dall’esterno, possono sembrare abbastanza simili tra loro,lo stesso non si può certamente dire per l’edizione del 2013 che ,per colpa di condizioni meteo particolarmente ostiche,si sviluppò secondo un copione diabolicamente impegnativo ,scomodo ed imprevedibile. Il susseguirsi delle perturbazioni atlantiche,fattore aggravato da una data di partenza, a detta di molti, troppo in là nel calendario, tormentò il Comitato di gara,impossibilitato a dare il via con forze di vento e mare improponibili.

I poveri concorrenti subirono il cilicio di un rinvio dopo l’altro della data di partenza fatto che, alla lunga, può diventare drammatico se pensate che ,dopo la data istituzionale del via supporter sponsor, parenti, preparatori ed amici se ne vanno e si rimane soli, in pratica con indosso solo gli abiti previsti per la regata e le prenotazioni nelle camere che scadono.

Dopo 15 giorni di questa tortura i concorrenti vennero,in pratica,buttati fuori quasi allo sbaraglio,approfittando di una finestrella meteo striminzita striminzita. Il tempo di arrivare a metà Biscaglia e la finestra si chiuse, un fronte entrò impetuoso e la gara dovette essere interrotta.

Tolti i primi sei che riuscirono ad arrivare a Sada, designata in fretta ed in furia come tappa di passaggio, per tutti gli altri fu uno sparpaglio tra i porti della Galizia, in prevalenza Gijon, ma qualcuno si trovò attaccato in doppia fila ad una boa di un orribile porto commerciale di cui non ricordo il nome e Federico Cuciuc riparò addirittura a san Sebastian.

Si dovette arrivare in ogni modo a Sada (“demerdez vous” fu il categorico ordine del direttore di gara, Denis Hugues) e la rimonta dell’Estaca de Barras, a NE di Capo Finisterre, contro 40 nodi fu il racconto più riproposto dai reduci di quella edizione, e non si trattava neppure di una fazione della regata!

Raccolta in qualche modo la flotta a Sada, almeno di quelli che riuscirono ad arrivare in tempo ,con la barca a posto, ,considerato il ritardo ,si decise di proporre …una tappa unica fino all’arrivo al Caribe e questo voleva dire una traccia superiore alle 3000 miglia, cosa mai vista in una regata mini!

Il blocco degli italiani superò con assoluta professionalità e sangue freddo questo susseguirsi di stress e contrattempi, dando prova di una preparazione di alto livello.

In effetti per preparare quella edizione ,già da un paio di stagioni, era entrato a regime il centro di allenamento allo YCi, gestito da Andrea Caracci e Riccardo Apolloni e possiamo dire che in quella maledetta occasione i frutti furono ben visibili.

Giancarlo Pedote prenderà parte al Graal della vela d’altura, la Vendée Globe, ma siamo sicuri che ,per quanto bene potrà andargli l’esperienza, il buon risultato che potrà ottenere non sarà sufficiente ad annacquare del tutto l’enorme delusione che provò nel 2013 nel vedersi scippare al vittoria ad una Mini Transat che aveva preparato con un dedizione totale. Dopo due stagioni in Figarò, assolutamente formative, fece la scelta di tornare sui mini optando per il mezzo più impegnativo in circolazione: il Maxi 747 con cui Raison aveva appena vinto la MT.

Fu una scelta coraggiosissima dato che quella era una barca che si sarebbe presa buona parte dei meriti se avesse vinto e che lo avrebbe esposto al lubidrio se avesse collezionato sconfitte.

Giancarlo fu del tutto all’altezza del mezzo. Si trasferì definitivamente in Bretagna per non perdere una virgola di quello che veniva distillato lassù ai suoi concorrenti , lo domò con un’approccio assolutamente professionale e nel giro di due stagioni vinse quasi tutte le regate a cui prese parte. Esprimeva una forte personalità e competenza e ho visto personalmente fior di velisti fare la fila in banchina per interloquire con lui su questioni tecniche.
Nella prima tappa, pur dovendo far fronte a più di un contrattempo, fu uno dei pochissimi che riuscì ad arrivare a Sada, sbaragliando il campo dei più forti prototipi francesi.

All’annullamento della tappa si dimostrò a mio giudizio un vero signore, non chiedendo nessuna compensazione per il fatto che lui,a differenza della concorrenza più temibile, era arrivato a Sada senza soste intermedie. Probabilmente la sua mancata vittoria alla MT si giocò in quel frangente…..

La seconda tappa ,una vera maratona, la gestì benissimo, sempre in testa, solo tallonato da uno come Benoit Marie, tanto per dire l’attuale miglior francese in Moth, su di un Eva Luna in stato di grazia.
Certo ,la vela è uno sport meccanico, ma quando tocca a te od ad un tuo amico… Il balestrone cedette, Giancarlo lo riparò a tempo di record, ma non abbastanza velocemente da parare l’attacco di Benoit che si vide offrire il sorpasso su di un piatto d’argento.
Fa ancora male ricordare l’espressione del toscano all’arrivo!

Michele Zambelli
anticipò di molto i tempi che si ritengono generalmente necessari per entrare nell’ambiente ed eventualmente ben figurare in una regata impegnativa e totalizzante come la MT,che si riconoscono in genere nei due che precedono la prova maggiore.
Era il 2009 quando ,a soli 19 anni,si imbarcò su di una delle barche appoggio, lui cucciolo italiano in un’equipaggio di soli francesi, perchè lui le cose voleva farle per bene ed il giocattolo desiderava conoscerlo anche dal di dentro, dai retroscena più reconditi.
Trovò in Alessandro Zamagna un magnate generoso e lungimirante che gli mise il suo mini a disposizione e di sicuro ci giocò anche il fatto che parlavano con la stessa cadenza!
Arkè 342 era da un bel pò che non navigava e Michele trascorse tutto il 2010 ad inseguire riparazioni ,cedimenti, che per le migliorie e l’ottimizzazione era ancora presto!
Faceva tutto da solo, col supporto tecnico di Bert Mauri, un’altro che parlava come lui e del resto Miki della sua adriaticità era orgogliosissimo.

Lo ricordo nel GPI di quell’anno tornare indietro dopo 20 miglia dalla partenza, riparare un timone e ripartire, dato che non voleva perdere preziose miglia qualificative. Nel 2011 iniziò a mettere il naso fuori di casa e corse la Transgascogne con Albero Bona, tanto per capire con gradualità, in doppio, come ci si comportava lassù.
Nel 2012 partecipò alla SAS e la foto del suo spi ridotto, che faceva capolino tra due ondone la ricordo ancora bene. Tirava come un matto ,ed infatti di li a poco ruppe la giroette in testa d’albero in una straorza… fa niente ,tutto per imparare!

Il 2013 lo colse infine preparatissimo ed Alessandro avrebbe fatto fatica a riconoscere la barca spelacchiata che gli aveva affidato tre anni prima. Nel baillamme di quella edizione si comportò benissimo, arrivando decimo tra i proto con un mezzo che pareva arrivasse da un’altra era e capendo perfettamente che gli sarebbe piaciuto continuare il gioco .Ed infatti…..

Alberto Bona
come minista è nato sui proto, dato che ha gareggiato nei suoi primi due anni di attività.
Luca Zoccoli gli noleggiò il vecchio 221 col quale il torinese di formazione umanistica inanellò le prime due stagioni di regate in Mediterraneo. Di pochi anni maggiore di Michele sviluppò con lui un percorso di crescita nel quale ciascuno metteva a disposizione i propri talenti per una maggiore crescita comune.
Nel centro di allenamento di Genova allo YCI, Club per il quale gareggiava, si parlava di lui come il primo della classe ed il coach Caracci se ne accorse al punto da eleggerlo come proprio co-skipper in più di una regata ,sui mini e non solo.

Rispetto a Michele, Alberto anticipò il cambio di barca, dotandosi di un P2 già sulla fine del 2012, ed infatti lo ricordo nella Mini Barcelona di quell’anno già tra i migliori della categoria serie. Nell’anno fatidico si trasferisce in Bretagna per la campagna primaverile e già si capisce che non ha timori riverenziali.

Al MiniFastnet, corso con Luca Riccobon, arriva settimo ,attirando gli sguardi dei favoriti ,che non avevano preso in considerazione un mediterraneo come lui per un bel risultato.
Alla MT si conferma, padroneggia da professionista tutta la difficile logistica ed ottiene uno splendido quinto posto, secondo dei P2 ,dopo gli allora intenibili Nacira che monopolizzarono il podio.

Federico Cuciuc.
Mi sto accorgendo,scrivendo queste righe di quanto siano stati avveduti i concorrenti italiani alle MT di quegli anni.
Ho appena accennato alla precocità agonistica ,rispetto all’obiettivo principale ,dei due atleti precedenti e rifletto sul fatto che anche il romano iniziò ben tre anni prima la sua attività sul Dingo 1 556.
Federico rifugge dal clichè del minista tipico, non dico un pò guascone, ma generalmente estroverso ed incline ad una socializzazione spinta. Di natura riservata, si faceva fatica ,non conoscendolo, ad inquadrare correttamente la densità della sua determinazione.

Ebbe la gentilezza di invitarmi a due edizioni dell’Arci ed in quelle occasione capii meglio di quanta meticolosità e precisione fosse capace. Di formazione tecnica imparò presto a padroneggiare routage ed elettronica di bordo e quanto all’andare in barca i suoi passati da derivista gli giocavano a favore. Velicamente macinò le tappe con un partecipazione alla Mini Barcelona dell’ottobre 2012 in cui ,dopo l’andata via mare, dovette sobbarcarsi un ritorno in Lazio in autunno inoltrato che dovette fare a tappe ,da tanto che fu ventoso e disagevole.

La rifinitura la eseguì anche lui al Centro di Genova, cosa non scontata per un cittadino romano.
Alla MT soffrì come tutti le asprezze della lunga attesa della partenza a Douarnenez, nel corso della prima tappa dovette far ricorso alle sue risorse più nascoste per …tuffarsi in acqua al buio ,per liberare la chiglia, da un cavo di pescatori e considerate il pericolo ,dato che con la corrente la barca non se ne stava ferma!
Nella buriana fu l’unico a ad atterrare a San Sebastian,ben più ad est rispetto a tutta la flotta. Impossibilitato a rimontare di bolina con quel vento tutta la costa nord della Spagna, trovò le risorse morali e l’energia per trovare un carrello ,smontare e portare via strada la barca a Sada!

Nella seconda tappa soffrì di un’incidente incredibile: in una strambata la scotta di randa gli strappò quasi tutta la barra e dovette proseguire fino alle Canarie, dove fu costretto a fermarsi per riparare, con in funzione solo il moncherino rimasto, che solo il pilota poteva manovrare!
Una volta ripartito portò a termine una onorevolissima corsa, in 32 esima posizione e gli deve essere piaciuto parecchio se è vero che lo si rivedrà alla partenza anche l’edizione successiva ed ad oggi,2020 ,il gioco non è ancora finito!
Purtroppo in quell’edizione il tasso di ritirati,per i più svariati motivi fu altissimo e non era pensabile che la sfortuna non si accorgesse anche di qualcuno dei nostri connazionali.

Davide Lusso
Anche il torinese di origine siciliana ha iniziato ben per tempo la sua attività sui mini, varando il suo Zero 600 già nel 2010.
Davide mi pare che non fosse di formazione derivistica ma vantava una solida esperienza maturata sulla barca di famiglia ,in lunghe crociere e trasferimenti ,una scuola che conferisce grande attitudine marinaresca, come testimonia il fatto che questo approccio ha formato illustri navigatori di offshore come Sam Manuard, Alain Roura e, per stare in Italia ed esulare per una volta dai mini, Vittorio Malingri.

Impiegato in un’attività di grande responsabilità, non gli è stato mai consentito dedicare tantissimo tempo alla preparazione della barca, fattore peggiorato dal fatto che ,generosissimo com’era, non era raro vederlo al lavoro su quella degli altri.
Tuttavia, con grande abilità e capacità di adattamento veniva sempre a capo di ogni problema ,a tempo debito.
Senza troppo tempo a disposizione per raggiungere campi di regata remoti ha sempre focalizzato la sua attività sulla classica triade delle regate italiane: Arci ,GPI, solitaria di turno, a dimostrazione che anche un’attività costante nelle acque amiche può sortire il risultato di un’ottima evoluzione tecnica specifica.
Affinato anche lui al centro dello YCI, debuttò in Atlantico al Mini Fastnet del 2013, dove ebbe la gentilezza di invitarmi.
Nel corso della prima tappa incappò nell’incidente più incredibile che si potesse immaginare: nella seconda notte di gara collise in pieno golfo di Biscaglia con un’altro mini e non uno qualsiasi degli 84 in gara ,ma con quello di un’altro italiano, Federico Fornaro.
Nel cozzo ebbe la peggio ed all’arrivo a Gijon realizzò che la sua prua era stata gravemente danneggiata. Capace di reazioni incredibili provò a tirare la barca in semi secco, alzandone la prua per poter cercare di ripararla, in qualche modo tappò la falla riuscendo anche a ripartire da quel porto.

Purtroppo la precarietà della riparazione nel tempo umido lo convinse a tornare sui suoi passi poche miglia dopo l’uscita dal porto.

Andrea Iacopini
ebbe una parabola che ,per certi versi,r icorda quella di Alberto Bona e di Davide Lusso.
Anche lui, come Alberto si attrezzò per il primo anno e mezzo di attività con un vecchio proto, Adrenalina 156, tanto per capire cosa si provava a dormire poco e bagnati, a vivere sempre sballottati in uno spazio ristretto ed a nutrirsi ,quando si poteva ,come in trincea, insomma a fare del Mini 650.
Come Davide si era dedicato prevalentemente alla navigazione su barche più grosse, privilegiando però il ruolo di prodiere in regata
Nel 2009 con quella barca, dopo qualche regata del calendario, allungò anche il tiro , tentando di fare la qualifica di 1000 miglia che abortì però in Spagna per noie alle volanti.
Nel 2010 vende il proto ad un appassionato brianzolo (Eh,eh) sale su di un P2, Unpalumpa, e si tuffa subito in un’attività sostanziosa che ha come epicentro il Centro di allenamento a Genova.
Non gli va sempre tutto bene e deve più di una volta dimostrare tutta la sua abilità nello sbrogliare matasse ingarbugliate, come quando disalbera poche miglia dopo la partenza della MiniBarcelona e già siamo a fine del 2012!
Nel 2013 preferisce svolgere un’attività domestica portando la barca a Douarnenez solo prima della MT, ormai sicuro della sua maturazione.
Nel corso della prima tappa è tra quelli che si deve fermare prima dell’Estaca e sentirlo raccontare con dovizie di particolari della bolina sfrenata che dovette affrontare con TMT e tre mani per arrivare a Sada è una delle esperienze più emozionanti che mai mi siano capitate,

Lui e Michele navigavano di conserva e dormivano a turno, vegliando uno sull’altro e tenendosi in contatto per VHF.
Nella seconda tappa si accorse di avere una noia ad una crocetta una sessantina di miglia dopo le Canarie, quando stava navigando in ottima posizione, intorno al ventesimo posto, sempre tanta roba!
Dal punto di vista agonistico praticamente la sua regata finì li, perchè dovette risalire di bolina l’aliseo fino ad un’isola delle Canarie per riparare e ripartire.
Macinò e macinò miglia mi pare con la giusta serenità, quando gli si materializzò l’incubo peggiore che ognuno di noi teme: una invincibile via d’acqua.
Ebbe la prontezza di filmare quei drammatici momenti e tutti noi potemmo vivere come dal vivo ,a posteriori, l’agonia del bel P2.

La sua MT ebbe un finale tristissimo, ma ne possiamo vedere un’elemento rasserenatore nel fatto che sulla barca appoggio che lo recuperò rinsaldò l’amicizia con Axel… che sarebbe diventata sua moglie! Ah gli italiani…

Federico Fornaro,
per lui partecipare alle regate sui mini rappresentava una parentesi quasi rilassante ,considerato che faceva il reporter all’estero ,anche e soprattutto in nazioni dall’elevata instabilità ,per usare un eufemismo.
Laziale ,con un curriculum di buon derivista alle spalle, un fratello pure lui ottimo velista ed un cugino, Andrea, al quale inoculò il virus con esiti di cui tratteremo a breve.
Il suo budget non consentiva smancerie ma a Federico non interessava evidentemente un piazzamento nei top ten ma portare a termine l’avventura della vita, pertanto decise che un solido P1 sarebbe andato benissimo.
Ricordo che mi stupì la sua bravura al GPI di esordio, nel 2010,quando lo notai portare lo spi in un’attraversata delle Bocche assolutamente non banale per il ponente che c’era.
Nello stesso anno mi fece prendere una lavata di capo dal presidente della Classe Francese dato che, in qualità di verificatore delle miglia di Qualifica, mi ero permesso di variare in corso d’opera la rotta predichiarata di Federico, col quale ero in contatto costante, per la botta di vento che lo stava colpendo. Gli appiopparono un surplus di 200 miglia ,da coprire successivamente e la cosa andò a buon fine.
Nel 2011 stupì tutti al GPI rimanendo nelle primissime posizioni della regata per quasi tutto il suo svolgimento, cosa non facile da fare in pieno dominio dei numerosi P2 che ormai rimpolpavano anche la flotta italiana.
Anche lui visse l’epopea delle lunghe e disagevoli attese in Bretagna ed a Gijon, subì per di più la collisione con Lusso, anche se la proverbiale robustezza del suo vecchio Structures gli garantì l’incolumità.
Nella seconda ,ed a quel punto unica tappa della MT si comportò benissimo, conducendo una regata regolarissima su livelli stupefacenti per un P1,anche ben entro la trentesima posizione.

Fino a quando….ruppe un timone e di seguito, pur togliendo il piede dall’acceleratore, anche l’altro!
Federico per salvare il suo mini si battè come un leone, provando tutto quello che lo scibile umano può tentare in una simile occasione ,ed anche di più.
Purtroppo non ci fu nulla da fare e dopo due giorni di tentativi disperati fu costretto a gettare la spugna a sole 300 miglia dal traguardo, salendo sulla barca appoggio, mi pare la stessa dove si trovava Iacopini, raccolto appena prima!

Cocciutissimo, non si dette pace anche una volta arrivato a terra: convinse una delle barche appoggio, ormai senza più impegni, a risalire l’aliseo in cerca del P1 e... lo trovò infine sulla barriera corallina di una piccola isola, appena prima dell’equipaggio di una barca di pescatori che lo intendeva cannibalizzare.
Poi decise di venderlo,ma questa è un’altra storia….
ANNO 2015
Nei due anni di preparazione all’edizione del 2015 la collaborazione tra Michele Zambelli ed Alberto Bona alla quale avevamo accennato raggiunse il diapason. Se in precedenza i due si erano scambiate esperienze correndo però in due categorie diverse, ora i nostri due gioielli erano approdati su due prototipi che consentivano grandi ambizioni e concertarono un’avvicinamento focalizzato in grande parte sulle regate italiane.

Michele Zambelli nel 2014 noleggia 788 da Aymeric Chapellier. E' la barca con cui il francese ha vinto la SAS nel 2012, il che significa un bella iniezione di cavalli in più rispetto ad Arkè.
Michele ,convinto di potere effettuare una buona preparazione anche in acque amiche, sfrutta appieno il calendario variegato su tutto il Tirreno che la Classe italiana di allora aveva approntato. Nel 14 prende parte e vince nella categorie en solo alla TransThyrrenum,che portava i concorrenti da Ostia a Termini Imerese, passando per Stromboli, e ritorno poi l’anno successivo si cimenta nella Round Sardinia, da Cagliari a Cagliari ,col periplo dell’isola.

Ragazzo di grande personalità e temperamento non si perita di ritirarsi a poche miglia dall’arrivo, scontentando comprensibilmente gli organizzatori, per non rischiare una barca che non gli appartiene in uno stretto passaggio con Mistral montante, pur vantando miglia e miglia di vantaggio sul secondo.
Corre il GPI col forte francese che l’anno prima aveva preceduto Bona nei serie, Renaud Mary, ma un francese di seconda fascia riesce a beffare sulla linea lui e Bona, ma siamo solo al warm-up per la Transat!

Nella prima tappa i due ci fanno sognare: complice un’opzione sulla rotta diretta sul fine del Biscaglia, si trovano in testa alla gara, nel tripudio mediatico dei tifosi. Purtroppo la rotazione veemente del vento a NW favorirà gli inseguitori ed i nostri, ciondolanti, si vedranno sorpassare da una muta scatenata con vele da traverso veloce.
Pregiudicata una classifica monster per questo disguido Miki non si perde d’animo ed affronta la seconda decisiva tappa atlantica senza timori riverenziali. Il suo secondo posto assoluto, che lo proietta ad un sempre ottimo sesto finale, è tra i più bei quadretti della storia della mini Transat in versione italiana.

Alberto Bona avevamo già scritto avesse condiviso con Andrea Caracci parecchie esperienze e nessuno si stupì quando ci fu tra i due il passaggio di mano del Manuard 756 Speedy Maltese.
Andrea, parlando della barca, diceva che sarebbe diventata un missile, da già buona che era, se si fosse potuto dotarla di sleeding keel, vale a dire di un’appendice che, oltre che basculare sopravvento, potesse anche allungarsi di qualche decina di centimetri, aumentando così la coppia di raddrizzamento a parità di peso.

Purtoppo Alberto abboccò all’amo e commissionò una simile soluzione sulla sua nuova barca. Iniziò una via crucis inenarrabile, dato che il problema si rivelò di soluzione più difficile del previsto ed il cinematismo si rivelò a più riprese malfunzionante, costringendo il torinese a lunghe sedute in cantiere che sottraevano tempo prezioso agli allenamenti ed alla messa a punto della barca.

Nella prima tappa Alberto fece gara parallela con Michele ma nella seconda, quella del riscatto, non riuscì a tirare fuori il meglio da un mezzo con cui, in fondo, non era mai entrato in sintonia. Una ferita ad una mano fu il colpo di grazia e la sua avventura sui mini terminò definitivamente a Capo Verde.
Gli saremo comunque sempre grati per le emozioni che ci ha dato nei suoi bei anni sui serie.

Roland Ventura è di passaporto italiano ma svolgeva la sua professione di preparatore in quella Mecca della vela d’altura che è la Francia atlantica. La sua ottima prestazione su di un P2 noleggiato, 15esimo, fa riflettere sulla qualità eccelsa dei ragazzi che vediamo chinati sulle cime che stanno diligentemente piombando sulle barche in procinto di partire per le regate. Tengono un profilo basso, stanno dietro le quinte, non conosciamo nulla dei loro curriculum, che forse non sono neppure così corposi ma la loro conoscenza “per il cuore”, come dicono i francesi, delle barche da regata, reiterata per tutto l’anno ,fa si che appena uno di loro si mette in testa di passare dall’altra parte della barricata, lo fa lasciando il segno sulle guance di molti che si ritenevano i soli depositari dell’arte di navigare. Bravo Roland!

Andrea Fornaro, come già accennato, è il cugino di Federico ed ebbi modo di vederli in azione insieme per la prima volta sul P1 del secondo all’Arci del 2013, quando non c’era verso di levarseli di torno, in ogni andatura, anche navigando su mini potenzialmente più veloci del loro!

Mi pare che Andrea presenti molto in comune con Andrea Caracci: entrambi sono professionisti della regata su barche grosse e prestigiose, in ruoli decisivi, e sono abituati ad una forma di yachting di cultura prevalentemente anglosassone.
Calati, parlando solo in inglese, in un ambiente eminentemente francofono quale quello dei mini, le scintille sono state spesso inevitabili ed ancora nel 2019 lo stazzatore Joel Gatè vedendomi mi apostrofava: ”ah le tangon de Andrea”(Fornaro)!
Se Caracci aveva svolto un’attività sui 470 ad altissimo livello, Fornaro maturava esperienze su ogni mezzo che procedesse a vela: dal campionato svedese dei Laser a quello europeo di SunFish, alla Star al kite foil, insomma una vela a 360 gradi che non poteva collidere, prima o poi coi Mini 650 e, complice il cugino, così fu.
La barca che scelse fu un’Argo, un progetto di Lombard per un cantiere spagnolo, la cui messa a punto fu coordinata con Nacho Postigo, grande tattico spagnolo che si stava prendendo lo sfizio di correre la MT su di una barca simile.

Dopo alcune belle prestazioni nelle regate italiane, tra cui la sontuosa vittoria alla Round Sardinia, il toscano si trasferì al nord per prendere le misure al plotone dei bretoni e similari, uscendone assolutamente rassicurato da un bel podio al MiniFastnet.
Coprì una MT regolarissima, con un 16esimo posto forse un filo al di sotto delle sue ambizioni ma pur sempre ottimo, considerato che la velocità della flotta stava velocemente cambiando e che gli Ofcet ed i primi P3 misero sul tavolo un passo decisamente superiore. E lui accumulò esperienza per il futuro prossimo…

Federico Cuciuc, seconda parte…
Non sono molti i concorrenti che ripetono l’esperienza. Non sono uno statistico ma credo che non si arrivi al 10 per cento e se per dei velisti professionisti, od aspiranti a diventarlo, la cosa è un pò più probabile, parlando di dilettanti i numeri si immiseriscono ulteriormente.
A Federico, pur con tutte le tribolazioni personali e collettive di un’edizione particolarmente sfortunata, la scimmia bussava ancora e si ripresentò anche nel 2015 con lo stesso 556. Ormai sapeva benissimo dove andare a parare, per fortuna potè gustarsi un’edizione relativamente normale della MT, per quanto possa essere normale ed indolore attraversare l’oceano con un Mini!
Il contrattempo più grosso ,dal punto di vista della classifica, dovette subirlo nella prima tappa, e fu un contrappasso dantesco se teniamo conto della meticolosità che metteva nell’organizzazione dell’elettronica di bordo e delle sue competenze specifiche.
Il cielo in quell’edizione si presentò particolarmente coperto ed i pannelli non riuscivano a fornire tutta l’energia di cui aveva bisogno, pertanto dovette perdere del tempo prezioso in una sosta in Spagna per rimettere a posto le cose. Nel corso della seconda incappò in uno dei peggiori incidenti tra quelli che possono accadere in mare: si ustionò profondamente una mano ed un piede mentre cucinava.
Possiamo solo immaginare il suo calvario in quelle ultime centinaia di miglia! Il Dingo1 lo portò all’arrivo, forse in migliori condizioni lui che non lo skipper, in una 41 esima posizione che era quello che ci si poteva aspettare da un'armatore dilettante, su una barca che non rientrava nel cerchio di quelle più titolate ad un risultato probante.

Andrea Pendibene, dopo avere saltato un turno, si ripresentò questa volta attrezzato di tutto punto.
Sempre supportato dalla Marina Militare in cui è in forza e dalla onnipresente Giovanna Valsecchi, sua co-skipper, preparatrice e compagna d’armi, mise in acqua il primo P3 mai visto in Italia. La barca era molto recente ed alcuni peccati di gioventù intralciarono i primi mesi di preparazione, poi Andrea prese il ritmo giusto.
Decise saggiamente di perfezionare la preparazione nel vento di Cagliari, assumendo come personal coach quel Guillaume Rottée che lo aveva già allenato sei anni prima in Camargue, una garanzia! Sulla scia del ritiro del 2011,purtroppo anche l’edizione del 2015 doveva dimostrarsi esiziale per il viareggino. Evidentemente i peccati di gioventù della barca non erano ancora stati scontati del tutto e cedette l’attacco del pilota alla barra proprio quando non avrebbe dovuto farlo, con ventone alle portanti.
L’albero non resse la strapoggia e venne giù ad una quarantina di miglia da Capo Finisterre. Andrea fu di riflessi veloci e tecnica sopraffina, allestendo un armo di fortuna col quale riuscì ad arrivare in prossimità di La Coruna.
Il regolamento della MT consente al massimo tre giorni per riparare una barca allo stand. Giovanna e la Marina attivarono una catena logistica ferrea, un’albero arrivò a destinazione ma il pieno completamento del lavoro di ripristino, si dilatò, anche se di pochissimo, dal tempo consentito e fu costretto a gettare la spugna.
Ma il suo fu un’arrivederci, l’ennesimo…
ANNO 2017
Andrea Fornaro

Considerato che i primi due arrivati tra i serie l’anno prima erano stati due Ofcet, Andrea, deciso a ripetere l’esperienza con un più alto tasso di competitività, se ne procurò uno ,con grande soddisfazione del cantiere che cercava un valido concorrente per arginare il futuro ,temuto strapotere dei P3.
Decise di debuttare sul fine della stagione 2016 alla MiniBarcelona e fu in quell’occasione che ebbi la possibilità di testarne di persona la tempra. A due giorni dalla partenza ricevette telefonicamente la notizia di un lutto familiare di quelli che ti potrebbero catapultare a casa nell’immediato, ma lui decise di restare, con una forza morale a prova di bomba.
La vigilia della partenza si recò in una palestra in città per sorbirsi un Workout of day di quelli che una persona normale impiegherebbe giorni a smaltire e si era al giorno prima di una regata in solitario! Vinse la regata in modo imbarazzante e tra i concorrenti c’erano i P3 di Ana Corbella e Benoit Sineau, che sarebbe arrivato terzo alla MT un anno dopo.
Non pienamente contento delle possibilità del mezzo fece una capriola ”all’Apolloni” e tra lo sconcerto del cantiere e di chi lo seguiva passò ad un proto, un Bertrand semi-nasone prodotto in Polonia, chiamato ancora Sideral. Il fatto di avere terminato un Mat lo dispensava da dover correre le 1000 miglia qualificative, ma non poteva sorvolare sulle 1000 miglia in regata, pertanto iniziò un tour de force infernale tra le regate italiane, che aprono la stagione, un ritorno in Polonia, mica dietro l’angolo, e Douarnenez, dove arrivò in zona Cesarini ,col furgone fumante e tossicchiante, la barca da rimontare del tutto e priva dei numeri sulla coperta, per totalizzare al MiniFastnet le ultime miglia che gli servivano .
Tutto filò bene ed Andrea, sempre perseguitato dallo stazzatore Joel, potè Prendere il via sulla via dei Caraibi.

Buona la seconda: forte dell’esperienza di due anni prima, il toscano sviluppò al massimo i cavalli che la barca poteva fornirgli e concluse con un brillante quinto posto finale che venne impreziosito dal bellissimo quarto della seconda tappa, quella che, secondo tanti, conta davvero.

Andrea Pendibene quater
E questa volta non ci sono stati impianti elettrici in panne o piloti recalcitranti che hanno tenuto! A dieci anni esatti dalla bella impresa sul Naus sulla rotta di Bahia e due insuccessi brucianti il Marinaio toscano assolve con diligenza ed ottima preparazione il suo compito ed strappa un bel 20esimo che in era ormai consolidata di P3 è un bel fiore all’occhiello, suo e della Classe italiana.

Ambrogio Beccaria
Nell’autunno del 2014, mentre fervevano i lavori su tutte le barche candidate alla 2015, un giovane milanese di 23 anni si recava fino in Portogallo per recuperare il P2 che Ian Lipinsky aveva dovuto abbandonare in mare l’anno prima e, portatolo a La Spezia, dove studiava iniziava a ripristinarlo con le proprie mani e con l’aiuto di Vittoria, la sua ragazza.
I risultati si videro già all’alba della primavera e pareva già un miracolo che il ragazzo fosse riuscito a mettere il mini in condizioni di navigare. Il bello che 539 non si limitava a galleggiare ma Bogi ci fece subito vedere che a lui era vincere che piaceva! Vinse d’acchito la Fezzano-Talamone e solo una situazione meteo ribalda gli sottrasse un GPI che aveva dominato in lungo ed in largo.
Subito dopo, dimostrando capacità mediatica fuori dal comune ed attitudine ad uscire dagli schemi, per la gioia dello sponsor Ambeco, espose la barca… alla Darsena di Milano, ovviamente senza chiglia! Intuì subito che il grande gioco si teneva in Atlantico, ci si recò e dopo qualche gara di assaggio prese il via alla SAS. E' storia recente (stiamo scrivendo nel 2020) e tutti ricorderanno la soddisfazione enorme che vivemmo con la sua vittoria nella seconda tappa ed il secondo totale. Ormai anche i francesi si erano accorti di lui e nel 2017, pur dotato “solo” di P2 in una flotta in cui i P3 si contavano in più di due decine, non giocò certo a nascondersi. Arrivò sempre primo tra le barche gemelle della sua ed in più di una occasione tra i primi 7-8. Lo ricordo stravincere il prologo del MiniFastnet, spalleggiato da quell’Alberto Riva di cui avremo molto da scrivere in futuro, battendo anche i proto.

Nella prima tappa della MT fu del tutto pari alle attese, strappando un sesto posto che poteva bastare di suo, ma che avrebbe potuto essere foriero di un ulteriore miglioramento nella successiva navigazione alle portanti, a lui assai congeniali.
E ci risiamo con lo sport meccanico! Il tempo di doppiare Capo Verde dove l’organizzazione aveva dirottato i concorrenti con rotta inusualmente meridionale per sfuggire ad una perturbazione, che l’attacco del balestrone di 539 dà segni di cedimento. Possiamo solo tentare di immaginare la forza morale che dovette sfoderare Bogi per riguadagnare la solita Mindella, di bolina, contro 25 nodi ,per una cinquantina di miglia mentre tutti quelli che aveva dietro gli passavano da ogni parte come stelle filanti…
Comunque ci tenne assolutamente a concludere la prova,arrivando in ogni modo ancora 26 esimo, per acquisire esperienza e, visto quello che è successo due anni dopo altrochè se ha fatto bene a continuare!

Emanuele Grassi
Anche Emanuele non aveva maturato da ragazzo particolari esperienze in deriva olimpica, essendosi dedicato a tempo pieno al ciclismo su strada, al punto di riuscire a militare per un paio di stagioni in un team professionistico, come dire il Figarò della due ruote! Da questa esperienza ereditò una determinazione ed una capacità di lavoro sotto stress senza pari, qualità che gli sono state quanto mai utili per colmare il gap tecnico che lo divideva all’inizio dalla moglie: nientemeno che Susy Beyer.
Mi raccontava delle lavate di capo che la ingombrante, velisticamente parlando, consorte non gli risparmiava nel primo anno di attività, quando uscivano insieme in barca. Le prime miglia il romano le ha effettuate su di un P1 e debuttò nella prima regata con una solitaria, la Roma Solo di Ostia, così tanto per gradire.
Rammento, non conoscendolo ancora, di quanto la cosa mi stupì favorevolmente. Al precisarsi delle ambizioni cambiò con un P2 ed iniziò la collaborazione agonistica con un velista col quale aveva tanto in comune, dall’età agli interessi sportivi, velici ed extra, il ticinese Andrea Rossi che ricordiamo finisher nel 2009. Affidati ad una comprensiva Susy i due mocciosi nati dalla loro unione, Emanuele scalò le vette tecniche allenandosi al centro di Genova sotto la dura guida di Riccardo Apolloni.
Posso testimoniare, essendoci stato presente anch’io, il tenore di una tipica seduta dell’autunno-inverno 2016-17:
-Venerdì dalle 11 alle 16 uscita tra le boe con tante manovre.
-Venerdì dalle 21 alle 04 circa di sabato Gallinara e ritorno(70 miglia)con tramontana sui 26-28.
- Sabato dalle 11 alle 16 boe.
- Sabato su Domenica dalle 21 alle 05 circa notturna espressa tra Voltri ed un waypoint 5 miglia lontano ,girando come trottole.
I tempi morti erano per i briefing tecnici ed un pò di riposo!
Capite come con un simile menù o si cambia sport o si riduce il gap dai francesi. Per Emanuele, che faceva questo arrivando spesso da Roma in macchina, fu “buona la seconda”. La sua preparazione fu interrotta da un grave incidente subito dalla barca che, in un fortunale, cadde dall’invaso e ci volle tutta la sua determinazione di cui sopra per venirci a capo per tempo.
Purtroppo la sua MT non è stata pari a quanto tanto faticosamente seminato. Nella prima tappa Ema incappò nell’urto con un OVNI che, in pratica, gli divelse mezzo specchio di poppa. Quello che accadde tra le due tappe è stata una della pagine più belle di solidarietà marina ed amicizia tra quelle che abbia mai letto. Andrea Rossi si imbarcò col materiale necessario e riuscì a riparare Penelope 603 in tempo per la partenza della seconda tappa!
Ripartito con le fondate ambizioni che gli competevano Emanuele dovette rendersi conto che quell’anno per lui proprio non era storia: l’impianto elettrico andò in tilt definitivo e ,senza più piloti, dovette cercare fino al fondo di se stesso per trovare le energie per condurre la barca per più di 1000 miglia stando sempre al timone, se non con qualche cappa per potere sopravvivere, Comunque non arrivò tra gli ultimi, stampò un 44esimo posto che, di certo, non era quello che si era prefigurato.
Il momento più triste quando si prende in mano la Storia dei partecipanti alla MiniTransat è quando si deve precisare il contorno di quelli che ,pur dispensando la stessa quantità di sudore e lacrime di chi ce l’ha fatta, hanno visto infrangersi il loro sogno, ed è una parte immancabile nel romanzo di ogni edizione, anche se in proporzioni variabili.

Luca Sabiu
Per il milanese fu galeotta la partenza della Vendée Globe 2016. L’esordio di Luca nei mini data alcuni anni prima. Il varo del P2 538 Jolly Roger, che altra non era stata che la barca di Daniela Klein, data nel 2010 quando, dopo una solida attività di charter e trasferimenti su imbarcazioni “over 10 mt”, scuola che abbiamo visto foriera di ottime qualità marine, fece il salto sui “piccoletti”.
Avveduto e consapevole di dover bruciare le tappe non si limitò a frequentare il centro di Genova, ma risalì direttamente alla fonte, imbarcando nelle due regate in double classiche del campionato italiano, l’Arci ed il GPI, addiritura il coach, Riccardo Apolloni, che se è duro sopportare per qualche ora al giorno come tecnico durante un stage posso tentare di immaginare come deve essere averlo a bordo per 5 giorni di fila!
Dopo due stagioni la vita di Luca imboccò un’altra direzione ed il milanese non si lasciò sfuggire l’occasione di fare della vela la propria professione collaborando come istruttore di punta in un scuola lombarda. Come ben si sa chi vive di vela in genere non trova il tempo di farne il proprio sport ed anche quella volta fu così. Sabiu rimase comproprietario di 538 con Massimo Ciccarelli ,ma scomparve dai campi di regata.
Novembre 2016: ho appena spento il Pc per vedere la partenza della Vendée, ancora in trance riesco a rispondere al telefono e: ”Ciao Stefano, Sono Sabiu. Per cortesia mi sai dire quanti anni valgono le miglia corse in gara”? Si perchè le miglia qualificative valgono solo 5 anni. Due rapidi calcoli e ne uscì che se si fosse iscritto entro Dicembre le sue sarebbero ancora state valide.
Cominciò la nuova preparazione invitando all’Arci Ambrogio Beccaria, tanto per rispolverare i riflessi col meglio che c’era in circolazione, come stile già conclamato in precedenza. Ebbe poi l’ottima idea di partecipare in solitario alla Roma x2,dove però si evidenziavano limiti ai piloti che lo costrinsero al ritiro. Terminato il ciclo pre-gara con alcuna sessioni di alcuni giorni full immersion sotto la guida di Tommy Stella, altro grosso calibro da cui apprendere parecchio, Luca visse l’immensa soddisfazione di passare sotto le chiuse a La Rochelle, ascoltando a tutto volume la canzone che si era scelta, tra i battimani di un pubblico entusiasta e competente. Dico sempre a chi vuole iniziare il progetto Transat che occorre gioire intensamente di ogni momento regalato dalla MT, anche i giorni di attesa e perfino il traino fuori dal porto, dato che ci sono notevoli possibilità che tutti i bei ricordi si riducano a questi momenti.

Alla terza notte di gara ,in avvicinamento a Capo Finisterre, Luca perse l’albero con un forza sette in poppa. Ferito nel morale ,ma che più conta con una sospetta frattura costale, fu costretto ad abbandonare la barca. Nei giorni seguenti dette prova di una determinazione leonina, muovendo mari e monti fino al recupero di Jolly, sbucciato ma perfettamente galleggiante.

Matteo Rusticali
Quando l’amore sfrenato per una barca supera ogni considerazione logica ed il comune senso nautico. Non fatevi trarre in inganno dal numero velico della barca di Matteo, Spot 444. è quello un numero che veniva assegnato ai Mini intorno al 2003 ma la barca di Matteo era mooolto più vissuta. Quando ebbi la mia chance alla MT del 99 era già in banchina e non era neppure di primissimo pelo. Mi pare che il suo varo avvenne nel 91 e che ,prima di tentarci col romagnolo, avesse concluso 6 o 7 Mini Transat.
Dopo un’ottima MT 2009 nelle mani dell’inglese Rawlinson, finì ad un armatore italiano che, impossibilitato a prendersene la doverosa cura, la lasciò a languire ed a deteriorarsi in un cantiere di Monfalcone fino a colpo di fulmine. Istruttore ed allenatore di vela, titolare di una veleria, Rusticali rimase folgorato da quel mini con la coperta delaminata in più punti e procedette all’acquisto. Matteo non è persona a cui dispiaccia il lavoro manuale. Si rimboccò le maniche passando l’inverno 2014-15 in cantiere ed il risultato dal punto di vista estetico fu ottimo.

Nell’era nelle prue e poppe potenti, degli spigoli rutilanti di potenza, vedere quel violino agilissimo in banchina faceva voglia di guardare in giro per vedere se per caso ci fosse Michael J. Fox scodellato dalla sua macchina del tempo alla Fezzano Talamone. Lo stupore aumentò quando ci si rese conto che il violino non era solo bello da vedere, con le sue linee vintage, ma che filava come una lippa !
Matteo correva in solitario e resse fino alla fine il passo dei migliori in doppio. Pochi giorni dopo un’altro bel risultato all’Arci lo proiettò definitivamente come una delle migliori barche tra quelle del panorama nazionale. Nei mesi seguenti lo skipper continuò il lavoro di miglioria su Spot. Una modifica del regolamento di stazza l’obbligò ad un faticoso surplus di mano d’opera per costruire una tuga conforma alla volumetria stabilita dalla nuova Guida Mini.
Ma accadde dell’altro: ricordate l’albero che Andrea Caracci perse nel 2011,quello del zig zag con la mano di Tommy? Occhieggiava allo YCI ed il nostro, presente in loco per la Cap Cagliari non seppe resistere, e mi viene in mente “la sfortunata rispose” di manzoniana memoria, riferito alla monaca di Monza. Adattare le geometrie particolarissime di quell’armo richiese su Spot un lungo lavoro di modifiche che, associato a quello già lungo di suo della tuga, dilatò a dismisura i tempi di lavoro di Matteo e ricordo che passò la notte precedente al GPI lavorando sulla barca.
Costretto al ritiro per un’errato montaggio di un’elemento del sartiame dovuto alla stanchezza diceva lui, e non c’era motivo di non credergli, rimise le cose a posto i giorni seguenti ed ottenne un bel podio alla 222 in solitario. Tornato in Adriatico furoreggiò alla Ri-Mi-Ni vincendo a mani basse la bella regata organizzata da Michele Zambelli. Tentò un’avvicinamento alla Regata Somma effettuato in chiave domestica, rimanendo fino all’ultimo in Adriatico ad allenarsi ed a scoprire i segreti di un’elettronica sontuosa, offerta dal suo sponsor tecnico,BeG.
Difficile scrivere del resto: nel corso della prima notte di gara quell’albero, che proprio non era nato sotto una buona stella, cedette e la bolina con armo ridotto per rientrare in qualche punto della costa fu purtroppo tutto quello che di navigazione la MT 2017 potè offrire a Matteo Rusticali. Gli rimane la soddisfazione di avere saputo donare nuova vita ad una barca che era in stato di abbandono.